Progettare l’incertezza

Decisioni&Disegnini (I)

Pensa come un ingegnere
7 min readFeb 10, 2021
solo grazie a Chiara Ciaccheri

(english text below)

Ho iniziato a scrivere queste note con l’intenzione di farne appunti per un corso di progettazione. Il corso si sarebbe chiamato “progettare l’incertezza” e m’era venuto in mente per via del frequente (molto frequente) caso in cui persone che hanno a cuore argomenti pratici di pubblico interesse - sia esso economico, politico, sociale- sollevano un problema che finiscono per discutere senza risolverlo.
Se vi suona confuso ripensate a quando (tipicamente nelle peregrinazioni social-professional-comunicative) leggete cose come il già citato: “…per provare a immaginare come ridisegnare [aggiungere qui una cosa a piacere]”.

Con una buona dose di hybris mi sono lanciato a smontare quelle mollezze sulla scorta dell’adusato pensiero pragmatico e mi sono accorto di essermi ficcato in un imbarazzante loop: l’incertezza è la ragione stessa, l’ubi consistam, del progettare; progettare l’incertezza è semplicemente progettare, ossia progettare è governare l’incertezza.
C’è una cosa che va come le pare? Fai in modo che vada non come pare a lei ma come vuoi tu (questo ce lo siamo detti parecchie volte ormai su queste pagine).

Anche se abbiamo a che fare con qualcosa di cui non siamo certi possiamo comunque affermare che, in un sistema in cui c’è il progettista e il mondo esterno, quest’ultimo (il mondo esterno) può catalogarsi completamente in Quello che so e Quello che non so.

Quello che so è sul lato sinistro del quadrato: se so di saperlo posso usarlo direttamente, se so di non saperlo torna sempre buono perché mi posso organizzare per impararlo o per chiederlo a chi lo sa.
Sul lato destro del quadrato invece c’è quello che non so: potrei non sapere di saperlo (e qui le sorprese) ma anche non sapere di non saperlo (da cui la frustrazione).

Notate che ho aggiunto ai quattro quadranti le iniziali SWOT che a più di qualcuno di voi susciteranno rimembranze: è l’analisi dei punti di forza (S di Strenght), debolezza (W-eakness), opportunità (O) e minaccia (la T di Threat) descritta in termini alternativi.

(sennò continuate a fare su e giù col foglio)

Una breve analisi dei quattro quadranti riporta:
Quello che so di sapere, è la mia forza, chiamiamola Area di Confidenza: è tutto quello che padroneggio completamente, il mio know how, la mia expertise, è la parte fondamentale del mio vantaggio competitivo.

Quello che so di non sapere rappresenta l’ambito delle Opportunità; con il Filosofo è la mia saggezza, con il semiologo la mia cultura. Chiamiamola Area delle Alleanze perché:

  1. So che devo fare attenzione
  2. Non so come devo fare attenzione
  3. So dove cercare
  4. So a chi chiedere
  5. Se qualcosa non va è il primo campo da investigare

Insomma nel campo delle alleanze posso predisporre contromisure agli imprevisti della progettazione.

Quello che non so di sapere per noi è l’Area di Murphy perché è da qui che vengono le sorprese e per prudenza dovremo aspettarci che non siano piacevoli, pertanto corrisponde al quadrante delle debolezze.
Per completezza, dallo stesso ambito arrivano le scoperte e le illuminazioni, le epifanie che a un certo punto scoprite di avere avuto sempre sotto gli occhi e che vi fanno sentire un genio e un cretino allo stesso tempo (per non averle viste prima e quindi aver perso un sacco di tempo — ergo la debolezza). Se non vi piace Murphy e la sua legge, chiamatela l’area dell’Illuminazione ma tenete presente che da qui originano comunque le (brutte) sorprese, gli eccessi di prudenza e l’overdesign.
Sebbene quest’area si riduca con l’esperienza, le cose che continuerete a non sapere saranno comunque troppe per farvi stare tranquilli.

L’ultimo quadrante è l’insondabile Quello che non so di non sapere. Le colonne d’ercole della vostra competenza, l’inimmaginabile, il buio sotto il letto, la minaccia. Da qui provengono cose che comprendono:

  • “Non capisco perché non funziona”
  • “Non capisco se sta funzionando”
  • Gli eventi catastrofici (cose che una volta innescate non possono essere fermate)
  • Gli atti ostili dei vostri concorrenti

E già, perché forse per troppa fiducia non ve ne siete accorti ma fino a qui abbiamo considerato la vostra presenza demiurgica come monocratica.
E invece no: forze oscure perseguono i loro disegni senza sapere di voi e senza che voi ne abbiate contezza e, quel che è peggio, quando se ne accorgono pensano di voi esattamente la stessa cosa che pensate di loro: “ma chi è questo stronzo? Lo voglio morto.

lo so che non si capisce niente: è solo per farvi vedere che ci ho pensato un bel po’ e ne ho per le prossime due puntate di Decisioni&Disegnini.


I started writing these notes with the intention of writing a syllabus for a design course. The course would be called “designing uncertainty” and I had come up with them because of the frequent (very frequent) case where people who care about practical matters of public interest-whether economic, political, social-raise a problem that they end up discussing without solving it.

If that sounds confusing to you, think back to when (typically in social-professional-communicative wanderings) you read things like the aforementioned, “…to try to imagine how to redesign [add here one thing at will].”

With a good dose of hybris, I set out to dismantle that nonsense on the back of skillful pragmatic thinking and realized that I had gotten myself into an awkward loop: uncertainty is the very reason, the ubi consistam, of designing; designing uncertainty is properly designing, that is: designing is governing uncertainty.

Is there something that is not going as it should? Make it go not the way it wants, but the way you want it to (we have said this to each other many times on these pages).

Even if we are dealing with something we are not certain about, we can still say that in a system where there is the planner and the outside world, the latter (the outside world) can be completely categorized into known and unknown.

What I know is on the left side of the square: what I know I know I can use directly, what I know I don’t know it always comes back good because I can arrange to learn it or to ask those who know.

On the right side of the square, on the other hand, is what I don’t know: I may not know that I know (and here the surprises) but also not know that I don’t know (hence the frustration).

Notice that I have added the SWOT initials to the four quadrants, which to more than a few of you will trigger reminiscences: it is the analysis of strengths (S for Strenght), weakness (W-eakness), opportunity (O) and threat (the T of Threat) described in alternative terms.

A brief analysis of the four quadrants reports:

What I know I know, is my strength, let’s call it the Area of Confidence: it is everything I completely master, my know-how, my expertise, it is the fundamental part of my competitive advantage.

What I know I don’t know represents the Area of Opportunities; with the Philosopher it is my wisdom, with the Semiotician it is my culture. Let’s call it the Area of Alliances because:

  • I know I have to be careful
  • I don’t know how I need to pay attention
  • I know where to look
  • I know who to ask
  • If something is wrong it is the first area to investigate

In short, in the field of alliances, I can prepare countermeasures to unforeseen design contingencies.

What I don’t know I know for us is Murphy’s Area because that is where the surprises come from, and out of prudence we should expect them to be unpleasant, so it corresponds to the weakness quadrant.

For the sake of completeness, from the same area come the discoveries and enlightenments, the epiphanies that you discover at some point that you have had in front of you all along and that make you feel like a genius and a jerk at the same time (for not having seen them before and thus having wasted a lot of time — ergo weakness).

If you don’t like Murphy and his law, call it the area of Enlightenment but keep in mind that this is where the (bad) surprises, excesses of caution and overdesign originate from anyway.

Although this area shrinks with experience, the things you will continue to not know will still be too many to make you comfortable.

The last quadrant is the unfathomable What I don’t know I don’t know. The Hercules columns of your expertise, the unimaginable, the dark under the bed, the threat. From here come things that understand:

  • “I don’t understand why it’s not working.”
  • “I don’t understand if it’s working.”
  • Catastrophic events (things that once triggered cannot be stopped)
  • The hostile acts of your competitors

And yes, because perhaps out of overconfidence you have not noticed but until now we have considered your demiurgic presence as monocratic.

But no: dark forces pursue their designs without knowing about you, without you knowing it and, what’s worse, when they notice, they think of you exactly the same as you think of them: “who is then this asshole? I want him dead.”

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Pensa come un ingegnere
Pensa come un ingegnere

Written by Pensa come un ingegnere

Mechanical Engineer+Teacher+(R&D Advisor). I design: machinery * I deal with: interactive systems * I teach: tech culture. Permutation of terms is allowed.

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